1° Raggio, Volontà e Potere, colore Rosso
-potere inteso come potere DI: fare, essere, agire. Non come potere SU o CONTRO qualcosa o qualcuno.
Gli individui del primo raggio sono spesso collegati al fare nel senso più materico del termine: lavori agricoli, manualità, edilizia, mondo dello sport o attività che impegnano molto il corpo fisico.
Il 1 raggio veicola sopratutto la capacità di creare e dare forma concreta alle idee. È un’energia che tende alla concretizzazione e realizzazione di idee-progetti.
La volontà è il mondo con cui il pensare e il sentire iniziano a volere dall’anima quelle forze (motrici-vettoriali) che spingono la creatura a voler fare.
Il primo raggio porta in sé l’energia dell’Economia nel suo senso più puro, dal greco “oikonomìa”, nome composto dalle parole oikos (casa o beni di famiglia) e nomos (legge, norma). Nel linguaggio comune la parola economia viene subito abbinata al circolo di soldi, imprese e finanza ma non è solo e anzitutto questo; relegare il concetto di economia esclusivamente a queste parole è riduttivo e svia dal vero significato che il vero concetto di economia ha.
L’economia è un circolo virtuoso, dove non c’è mai spreco ma un perpetuo investimento di risorse/energie, le quali fruttano poi dei risultati che a loro volta vengono re-investiti secondo desideri, bisogni e necessità. Questo principio di applica e vale in tutte le sfere della vita a partire da quella personale, intima, interiore, relazionale e si manifesta poi nei modi in cui viviamo la nostra vita.
Si può dire che attraverso la mesa in atto dell’economia si ottiene il miglior risultato con il minimo dispendio di energie. L’idea originale dell’economia era di osservare i bisogni di tutti i regni presenti sulla terra: minerale, vegetale, animale ed umano), per soddisfarli distribuendo beni, intesi come “ciò che fa bene”.
L’economia è il primo volto della Grande Madre, deità che provvede alla mater cioè alla materia, in relazione alla vita sulla Terra e ai suoi abitanti. Lo fa attraverso la “pìetas”, avendo cioè empatia per il dolore delle creature e successivamente aiutandole secondo i loro bisogni e necessità. Nel corso del tempo tutto ciò venne fortemente distorto, e dell’economia rimase quasi solamente la moneta come merce di scambio.
La moneta però può essere percepita in due modi diversi.
Può diventare denaro, o può essere soldo. In antichità quando erano in corso delle guerre c’era una netta distinzione tra cavalieri-guerrieri e soldati. I primi studiavano e si applicavano con accuratezza e intensivamente all’arte bellica, come per esempio i samurai, ricevevano un compenso in denaro e liberamente sceglievano quel destino.
I secondi invece, erano spesso dei contadini o artigiani che venivano assoldati come mercenari in cambio di un pezzo di terra chiamato “soldum”, ricompensa sicura e garantita alla loro progenie.
Ecco quindi come la moneta diventa una merce di scambio con il bene più prezioso dell’individuo: la propria vita! Le probabilità che un soldato tornasse vivo erano poche, considerando la poca dimestichezza e abilità nel campo di battaglia.
Il concetto puro di denaro, ai nostri giorni, è stato dimenticato ma va riconquistato. La moneta oggi viene quasi sempre usata nel senso di soldo, anche se viene furbescamente chiamata spesso denaro, in alta finanza. Le parole sono importanti e veicolano determinate informazioni, che spesso portano la gente a confondersi e ad auto-boicottarsi.
Spesso coloro che hanno un’origine mistico-spirituale (6-7 raggio) , sentono i propri principi in contrapposizione con “il vil soldo”, lo percepiscono sporco e lontano dalla spiritualità, da Dio, Principio Creatore, Essere Assoluto. Per queste persone ciò risulterà quasi sicuramente in problemi economici: pur facendo un lavoro che a loro piace non guadagnano abbastanza, pur maneggiando tanto denaro alla fine gliene rimane poco, giusto la quantità sufficiente per sopravvivere o quasi. I problemi legati alla moneta sono svariati e qui ne ho citato solo un esempio; un’altra dinamica potrebbe riguardare il non concedersi l’abbondanza o sentirsi inconsciamente in debito con qualcuno, con la vita etc..
Il concetto di denaro porta con sé la volontà di avere abbondanza senza nuocere agli altri, ma anzi contribuendo ad un circolo virtuoso di ben-essere e bene-stare. Attraverso il denaro si compie un’azione più fine del semplice pagare. Si tratta di onorare il lavoro fatto da una persona, ciò comprende riconoscere e onorare l’attitudine, la predisposizione, il talento, la passione e l’impegno che vengono messi.
Attraverso i soldi invece si corrispondono i salari (deriva da salario=attinente al sale), derivati in sostanza da uno sfruttamento pieno di fatica, tanto da far sudare le creature coinvolte che si ritrovano con la pelle salata.
Sri Aurobindo, padre dello Yoga Integrale, ebbe a dire: “La maggior parte delle discipline spirituali insistono sul completo controllo di se , sul distacco e la rinuncia ad ogni legame al denaro e alla ricchezza e ad ogni desiderio personale ed egoistico di possederli. Alcune pongono perfino un interdetto dichiarando che una vita povera e nuda e la sola condizione spirituale. E’ un errore che lascia il potere del denaro nelle mani delle forze ostili. Riconquistare il denaro per il Divino al quale appartiene e utilizzarlo divinamente per la vita divina, è la via super-mentale che il sadhaka deve seguire.”
Possibili distorsioni del 1° raggio:
iper attività, iper fare, stacanovismo, eccesso di volatilità, voler produrre senza fermarsi, sentire non aver fatto abbastanza (anche quando non è così), difficoltà a concedersi del risposo, considerarsi sfaticati per darsi appena la giusta quantità di riposo necessario, iper produzione di cose etc.
Più cinestetici e sportivi che contemplativi, gli individui di 1°raggio, o quelli che sono in parte importante di primo raggio, non si trovano bene con tecniche meditative statiche; per loro non funzionano e/o possono innescare reazioni avverse. Sono invece accolte con piacere modalità per entrare in assetto meditativo che includano azioni fisiche come anche semplicemente lavare i piatti, tagliare la legna, camminare, danzare, fare sport.
C’era una volta un costruttore di nome Egeta. Al polso destro aveva un orologio le cui lancette giravano all’impazzata, facendoli così credere di non avere mai tempo. Sentiva il tempo fuggire ogni attimo, e basito e disperato lo guardava inerme a braccia aperte … finché un piccola formica non volò dentro la sua orecchia.. scendendo giù giù giù decise di fare proprio lo sterno di Egeta. Durante una passeggiata Egeta si fermo davanti ad un campo con degli attrezzi lasciati li, senza armonia o grazia, vicino ai quali c’erano qualche albero, dei mattoni, e una casa scoperchiata e mezza rotta. Ciò che vedeva lui attraverso i propri occhi erano un insieme di elementi grezzi sparsi qui e lì che potevano combinarsi magistralmente per fare delle costruzioni solide e stabili; gli attrezzi c’erano, la terra anche, l’acqua pure, il fuoco poteva chiamarlo se necessitava e l’aria era onnipresente. Gli elementi c’erano tutti. Iniziò così la sua opera di costruzione, ci si dedicava giorno e notte, e quando arrivava a casa sembrava innescasse l’acceleratore per sistemare ciò che c’era da sistemare, mangiava mentre correva da una stanza all’altra e non si fermava nemmeno per un secondo. Inizio così a mettere mattoncino sopra mattoncino .. era efficacissimo nel dare forma alle costruzioni che stavano nei suoi pensieri, ma voleva fare ancora di più.
Costruito un edificio, non passava più di qualche ora a gustarsi il compimento del suo progetto che subito ne iniziava un altro. Bisognava fare, perché il tempo era poco e andava ottimizzato.
Una mattina, correndo verso il cantiere di costruzioni, inciampò sul giocattolo di un bambino. Furente ed arrabbiato, lo prese in mano e fece per scagliarlo giù dal ponte sul quale si trovava, fortunatamente il giocattolo rimbalzò sulle colonnine che delimitavano la strada e facevano da balaustra al ponte. Il giocattolo finì per terra e un bambino corse ansimando verso di lui; con il fiatone e gli occhi grandi e lucidi raccolse il suo giocattolo a forma di Sole e disse ad Egeta.. “oh grazie!! credevo di averlo perduto! E’ il mio giocattolo preferito, è il sole, hai visto ieri com’era bello al tramonto? “ e con un grande sorriso si voltò, e torno di corsa dalla mamma. Egeta rimase un po’ spiazzato, non capì bene cosa gli fosse successo, giocattolo a forma di sole… bambino… eh?? pensava..
Continuò quindi la sua cosa sfrenata, e iniziò a costruire come ogni altro giorno. Passò qualche anno e il campo che inizialmente aveva incontrato gli occhi di Egeta, si era trasformato in una giungla di grattacieli grigi. Il sole faceva fatica a passare e farsi strada tra quei giganti di cemento. Egeta salì all’ultimo piano di un grattacielo.. guardò il sole tramontare e si ricordò delle parole di quel bambino che tempo prima aveva incontrato per strada. Si dispiacque molto nel vedere che il sole non riusciva a raggiungere la terra, e comprese che la sua voglia di fare era scappata dal suo controllo.. facendo agire lui per conto di lei. Grandi imprese sono possibili, ma quando c’è solo la volontà di fare, eseguire, e costruire senza cuore, senza moderazione, senza coscienza senziente molte idee si rivelano delle opere alquanto tristi. Egeta decise che la sua abilità di dare forma alle idee sarebbe stata usata diversamente d’ora in poi, perché camminando per strada la sua pelle si rabbuiava alla mancanza del gentil tocco del Sole.
Il fratello di Egeta, Olaf, era un contadino. Viveva in un paesino rurale tranquillo e solare. Coltivavano la terra, e allevavano gli animali per potersi sostentare nei duri tempi freddi e invernali. La popolazione del paesino iniziò a crescere molto velocemente e negli anni si formarono altri insediamenti confinanti fino a che non formarono un unico grande villaggio. Tutto procedeva secondo i ritmi della natura finché non arrivò una grande carestia, dovuta a violente calamità naturali. Molti abitanti morirono di fame, altri perirono e si ammalarono, e Olaf, dall’alto del suo fienile mezzo distrutto guardava disperato ciò che stava accadendo sotto i propri occhi. Pensò allora che allevando intensivamente i capi di bestiame si poteva ottenere più carne di cui sostentarsi, e fare delle serre per coltivare di inverno avrebbe incrementato decisamente la quantità di viveri disponibile anche nei mesi freddi. I tempi passarono, gli anni anche. Le condizioni di vita erano diventate meno difficili, ma l’allevamento intensivo e le coltivazioni nelle serre avevano preso piede e non c’era nessun’intenzione di ricalibrare il tiro per, ri-sintonizzarsi su modelli di vita sostenibili per l’uomo e per la terra con tutti i suoi abitanti. L’idea di allevare e coltivare in serie ed intensivamente sembrava essere perfetta da un punto di vista teorico ma erano stati esclusi alcuni fattori,che non erano stati previsti a priori: mancanza di luce solare e quindi di vitamina D per gli animali; spazi ristretti, mancanza d’aria… tutti elementi che contribuirono a far ammalare il bestiame così da andare in perdita, sia dovendo gettare i loro corpi malati, che dovendo curare i malcapitati che si erano trovati nel piatto cibo avariato e malato. L’intento di dare a tutti il necessario per la sussistenza finì quindi in una sovrapproduzione con conseguente spreco e sfruttamento delle risorse di Madre Natura.